Maurizio Nichetti rappresenta un'eccezione: in un cinema come quello italiano, dove tutta una tradizione di comicità, anche gloriosa, è basata sulla parola e l'arte di manipolarla, lui predilige i silenzi. E la comicità visuale. Da RATAPLAN (1979) in poi, i suoi riferimenti sono quelli di Keaton, di Chaplin o di Tati: poche parole, molte gag e tanta mimica, e piuttosto dei suoni, con una forte accentuazione espressiva. Proprio come in quella che è stata la grande passione di Nichetti, l'animazione.
Cosi, Nichetti ama la tecnica e la sperimentazione: nel precedente LADRI DI BICICLETTE fondeva i personaggi della fantasia con quelli della realtà ricreata, riprendendoli in bianco e nero piuttosto che a colori (come il Woody Allen di LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO). Qui fa come Spielberg in ROGER RABBITT: gli attori in carne ed ossa recitano accanto a dei disegni animati. Non solo: ma VOLERE VOLARE è la storia di un doppiatore di cartoon che, progressivamente, si trasforma in un disegno animato.
Inutile dire che i disegni animati del film (quelli americani del periodo pre-disneyano) sono scelti benissimo: Nichetti paga il debito della sua comicità grafica alla "Road Runner" di Chuck Jones con l'abituale raffinatezza. Milano, una volta ancora, è presente nel film con la solita grazie. E gli interpreti, da Angela Finocchiaro che campa una sorta di assistente sociale con l'andazzo della donna di Braccio di Ferro, alla mangiatrice d'uomini Mariella Valentini reduce da PALOMBELLA ROSSA sono inseriti intelligentemente.
Eppure, come ormai regolarmente nel cinema di Nichetti, le idee, le situazioni, i ritmi crollano non appena si tratta di organizzare organicamente il racconto.
Dalla poesia dell'assurdo, da un piacere quasi bunueliano per il gioco tra l'erotismo dichiarato e le sue deformazioni sempre più ambigue, VOLARE VOLARE inciampa ben presto nelle ripetizioni e nello spreco delle trovate tecniche.